Sono ormai diversi anni che i guru del settore si riempiono la bocca di parole come smartworking, flexibility, returnship: tutti inglesismi per descrivere una serie di processi che stanno interessando il modo in cui il lavoro viene vissuto oggi.
Non tutti possono essere considerati positivi, non tutti saranno facili da affrontare. Molto dipenderà dalla flessibilità (questa volta mentale) del lavoratore, del datore di lavoro e dell’intero sistema.
Vediamo quindi cosa ci aspetta nel prossimo futuro e come prepararsi al meglio a questa che sembra essere una rivoluzione del lavoro.
Smartworking e lavoro flessibile: quali sono i trend in arrivo a cui dovremo adattarci?
Fino a trent’anni fa, il lavoro era più o meno uguale per tutti: si arrivava in ufficio/fabbrica/negozio, si timbrava il cartellino e ci si metteva al lavoro, finché non era ora di tornare a casa. Certo, anche allora c’erano delle eccezioni: basti pensare ai medici, ai vigili del fuoco e tutti coloro che hanno a che fare con situazioni critiche, in cui un secondo può fare la differenza.
Oggi, però, le cose sono molto diverse: i confini tra lavoro e tempo libero si stanno facendo sempre più sfumati. Non solo per quanto riguarda le attività, ma anche per i luoghi. Casa e ufficio non sono più due compartimenti stagni che non comunicano.
Certamente la ragione principale di questo fenomeno è dovuta all’evoluzione delle tecnologie, che ci hanno fornito la possibilità di poter accedere alle mail di lavoro anche da casa o da mobile. E se per qualcuno questo non è che una seccatura, per altri è invece un’opportunità.
Allora, sotto con i trend: cosa ha in serbo il futuro per noi?
Smartworking: le frontiere che si abbattono e l’immediatezza delle informazioni
Cominciamo proprio con il cosiddetto smart work, il lavoro intelligente. Con questa espressione intendiamo una tendenza sempre più in voga in questi ultimi anni, che consiste nello svolgere il proprio lavoro anche (ma non solo) in luoghi che non sono propriamente un ufficio.
Ovviamente non stiamo parlando di una fabbrica o di un ospedale, dove essere sul posto è un requisito indispensabile. Ci riferiamo invece a tutti quei lavori che possono essere svolti tramite computer, che sono sempre più numerosi.
Con lo smartworking l’idea stessa di ufficio, di luogo di lavoro, si smantella. Un team può essere composto da persone che lavorano anche a chilometri di distanza. Ognuno può lavorare dal divano di casa sua, o addirittura dal letto, da un bar, dalla spiaggia!
La flessibilità aziendale dello smartworking non riguarda soltanto lo spazio, ma anche il tempo. Non recandosi più in ufficio, non esistono più le classiche 8 ore lavorative, ma si lavora invece per obiettivi, o meglio per raggiungimento del risultato. Insomma, orario flessibile e totale autonomia.
Se, ad esempio, in ufficio si viene pagati per le 4 ore necessarie a svolgere un compito, con lo smartworking si verrà pagati per lo svolgimento del compito in sé e non per il tempo impiegato.
Sembra tutto perfetto, no? Certo, ma anche lo smartworking può avere i suoi lati negativi.
Il primo è quello che potrebbe sembrare un’assenza di libertà: se non sei mai presente, sei sempre raggiungibile telefonicamente. In realtà, questo dipende dall’accordo che hai preso con il tuo datore di lavoro, che di certo non può pensare di chiamarti alle 3 del mattino.
Al contrario, però, tu puoi rigirarti nel letto in una notte insonne e decidere che è meglio impiegare il tuo tempo portando a termine qualcosa. Chi ha tempo non aspetti tempo!
PS: lo smart work è legge dal 2007.
Non dimentichiamoci di parlare: il coworking
La domanda che probabilmente ti sarai fatto è: “Ma io mi diverto tanto con i miei colleghi, non mi sentirei solo con lo smartworking?”
Questa è la domanda che si sono fatti anche molti professionisti che, per un motivo o per un altro, si trovano a lavorare da soli. Basti pensare ai freelance o a coloro che svolgono telelavoro, fino a oggi confinati in casa tutto il giorno o in uffici tristemente silenziosi.
Ecco perché è nata l’idea del coworking, che potrebbe sembrare un antidoto allo smartworking. Si tratta di uno spazio in cui persone che svolgono professioni diverse possono lavorare in tranquillità, mantenendo così delle relazioni sociali.
A differenza di un classico ufficio, le persone che occupano uno spazio di coworking appartengono ad aziende e settori completamente diversi, che condividono appunto soltanto la struttura, e qualche chiacchiera.
Gli ambienti di coworking sono strutturati fisicamente come degli uffici veri e propri, con scrivanie, connessioni internet e telefoniche: l’unica cosa da portare è il proprio computer. Spesso inoltre dispongono anche di bar, tavole calde e luoghi di ritrovo, proprio per favorire l’elemento sociale. Un altro punto a favore del coworking è che ha orari molto flessibili, proprio per andare incontro alle esigenze di chi lavora senza orari. Alcuni sono aperti anche 24 ore su 24, con ingresso elettronico e un servizio di sorveglianza.
In Italia stanno ormai spopolando un po’ ovunque: il primo è stato aperto nel 2008.
Questo è un ottimo metodo per godere del lavoro flessibile senza restare soli tutto il tempo, ma anzi conoscere persone e sviluppare relazioni sociali.
Returnship: quando i professionisti tornano sulla piazza
Un fenomeno molto più recente rispetto allo smartworking e del lavoro flessibile è quello del returnship. Questo termine inglese sta a indicare un fenomeno che sta, purtroppo o per fortuna, prendendo sempre più piede.
Tutto nasce dall’attuale congiuntura economica, che prevede per i giovani un’età lavorativa che si sposta sempre più in avanti.
Secondo le più recenti indagini, infatti, la generazione dei giovani professionisti di oggi e quella dei giovani che non hanno ancora cominciato a lavorare sarà quella destinata a lavorare più a lungo di qualunque altra in precedenza.
Cosa significa questo? Che probabilmente, dopo anni e anni di professione, qualcuno potrebbe cominciare a stancarsi, e a cercare nuovi orizzonti. O ancora, potrebbe capitare durante la carriera un periodo di stop, dovuto alle motivazioni più svariate (maternità, malattia, trasferimento).
Per far tornare questi professionisti sul mercato del lavoro sono necessari degli appositi periodi di formazione. L’istruzione non sarà quindi soltanto quella precedente alla laurea, ma accompagnerà i lavoratori per tutta la vita.
Con il termine returnship (ripreso da intenrship, lo stage inglese) si intende quindi quel periodo lavorativo in cui un neofita si approccia con un nuovo lavoro, fresco di formazione. La differenza è che questa volta non si tratta di giovani laureati ma di professionisti affermati, che hanno voglia o necessità di cambiare ambiente e hanno quindi dovuto formarsi adeguatamente.
Parola chiave: flessibilità
Queste tendenze che abbiamo analizzato ci riportano tutte a un’unica parola chiave: il lavoro flessibile. Che si tratti di orari, di uffici o di mansioni, oggi il cosiddetto “posto fisso” è sempre più un’utopia. Ma questo non deve essere visto come una disfatta, ma come un’opportunità.
Forse il modello americano, fondato su mobilità e continuo ricambio di risorse, funziona davvero: ne beneficiano i lavoratori, che possono in questo modo esplorare nuove realtà e ampliare il proprio bagaglio culturale ed esperienziale.
Ma ne beneficiano ovviamente anche le aziende, che hanno così a disposizione punti di vista, competenze e background sempre nuovi.
Insomma: se la vita ti offre limoni, prepara una bella limonata!