La retribuzione oraria, i salari minimi e i contratti collettivi sono un argomento sempre attuale, e uno spunto di confronto utile per le analisi di settore.
E proprio di pochi giorni fa è l’ultimo report di Istat sulla retribuzione oraria nel settore privato. Dall’analisi sono emerse dei dati sicuramente interessanti, non sempre in positivo. Sembra infatti che ci sia ancora molta strada da fare riguardo la stipula di nuovi contratti e le differenze di genere. Vediamo quindi nel dettaglio cosa è emerso dall’indagine e cosa è possibile dedurre da questi dati.
Retribuzione oraria: la nuova analisi dell’Istat tra nuovi contratti e disparità di genere nel settore lavoro
Tante sono le sorprese di questo rapporto, che va in un certo senso controtendenza rispetto agli altri dati ufficiali che sono stati presentati nei mesi scorsi. Il 2018 infatti non sembra concludersi positivamente in termini di retribuzione oraria, anche se ci sono delle differenze anche sostanziali tra una categoria e l’altra.
1. I nuovi contratti
Il primo dato ad emergere è quello relativo ai nuovi contratti di lavoro stipulati nel 2018. Sembra infatti che questi ultimi prevedano una retribuzione oraria effettiva addirittura inferiore rispetto a quelli già in essere.
Secondo i dati, la retribuzione oraria dei contratti sottoscritti nel 2018 ha una media pari a 9,99 € all’ora; mentre i contratti già esistenti prevedono una cifra pari a circa 12,23 € orari, con una differenza pari al 18,4%.
Un gap importante, specialmente tenendo conto del fatto che il costo della vita non è affatto sceso nel corso dell’ultimo anno. Né, d’altra parte, è chiaro perché coloro che vengono assunti adesso debbano avere una disparità di trattamento rispetto ai colleghi “anziani”.
Inoltre, il valore mediano della retribuzione media era pari a 11,06 € nel 2014 e 11,21 € nel 2015 e nel 2016. Un aumento, quindi, inesistente, se si tiene conto dell’inflazione e del costo della vita.
I trend hanno osservato una crescita della retribuzione oraria da 13,80 € a 14,01 € dal 2014 al 2015, ma si è poi registrato un abbassamento tra il 2015 e il 2016. Nell’ultimo anno la cifra si è attestata sui 13,97 € orari.
2. I low pay jobs
Questa sembra essere una vera e propria piaga tutta italiana. Il fenomeno del “low pay jobs”, ossia dei lavori sottopagati, è ancora oggi una realtà preoccupante.
Secondo le stime ufficiali, la quota dei low pay jobs è scesa dal 2014 al 2016, tuttavia al Sud essa rimane ancora superiore al 10%.
Inoltre, questa statistica non tiene conto dei lavori non contrattualizzati, ossia “a nero”, che sono ancora oggi una fetta significativa, che continua a incidere sull’economia italiana.
Questa stima non tiene conto nemmeno di quei rapporti di lavoro che formalmente non sono tali, come ad esempio dello stage (di cui abbiamo parlato qui). Lo stage, non configurandosi come un vero e proprio rapporto di lavoro ma come un periodo di formazione, non rientra nella statistica pur prevedendo delle retribuzioni certamente inferiori alla media, i cui minimi differiscono comunque da regione a regione.
In ogni caso, anche considerando i dati ufficiali, la disparità tra Nord e Sud è importante. Più si scende verso Sud, infatti, più la retribuzione oraria scende: mentre le province di Milano, Torino, Monza, Varese, Lecco, Trieste, Bologna e Genova presentano nel 2016 delle retribuzioni mediane uguali o maggiori di 12 €, quelle di Caserta, Benevento, Salerno, Barletta, Foggia, Trani, Cosenza e Vibo Valentia si attestano su una cifra inferiore ai 10 €.
3. Le differenze di genere
Un altro punto dolente della retribuzione oraria è la differenza di genere. Sembra infatti che ancora oggi, nel 2018, le donne vengano pagate meno dei colleghi di sesso maschile. Questa è una situazione generalizzata, che vale per tutte le regioni italiane, sebbene si registrino delle piccole differenze.
I dati raccolti dall’Istat mostrano come gli uomini che percepiscono retribuzioni orarie inferiori al valore mediano siano il 44%, mentre per la controparte femminile il 60%.
Ma non basta: le differenze sono ancora più marcate se si parla di lavoro part-time. Questa è da sempre una modalità di lavoro che ha interessato – volontariamente o involontariamente – più le donne che gli uomini.
Nel 2016, una retribuzione oraria superiore a 15 € spettava soltanto al 17,8% delle donne, contro il 26,2% degli uomini. Sempre nel 2016, poi, il 59% delle donne ha ricevuto uno stipendio orario inferiore alla mediana nazionale, percentuale che sale al 63% per la Basilicata. Per gli uomini si parla “soltanto” del 44%.
E retribuzioni ancora inferiori? Quelle a meno di 8 euro sono state erogate all’11,5% delle donne e all’8,9% degli uomini.
Quali sono le differenze tra le regioni?
La regione con meno disparità tra uomo e donna è il Lazio, mentre quelle che registrano una differenza più marcata sono la Valle d’Aosta, il Molise e la Basilicata, con rispettivamente 42,01 e 60,1%; 43,3 e 61,3% e 43,7 e 63%.
4. Il part-time e la dimensione dell’azienda
A proposito di part-time, questo tipo di rapporto di lavoro fa emergere dei dati interessanti anche senza tenere conto delle differenze di genere.
Il primo dato riscontrabile è la correlazione tra retribuzione oraria e dimensione dell’azienda. Chi lavora nel settore dell’industria e in un business medio-grande, ossia con più di 250 dipendenti, ha una retribuzione oraria mediana di quasi 16 €.
Per le aziende dai 50 ai 249 dipendenti, la cifra scende a 13,4 €, per quelle da 10 a 49 dipendenti a 12,1 € e infine per le microimprese a 10 € all’ora.
Inoltre, la retribuzione oraria mediana si è abbassata dal 2015 al 2016 per tutti, tranne che per i lavoratori delle grandi aziende.
Le grandi aziende, però, sono anche quelle che hanno una maggiore disparità di trattamento nei confronti dei dipendenti part-time. Per loro, infatti, si parla – nel settore dell’industria – di una differenza di retribuzione oraria pari a 2,56 €, che scende a 1,15 € per le imprese più piccole.
Nei servizi, invece, la differenza è pari a 2,67 € per le grandi aziende e 0,75 € per le piccole imprese.
La retribuzione oraria in Italia
La situazione sembra quindi non essere delle più rosee. Particolarmente preoccupante è la problematica del gender gap, che ancora oggi fa sentire la sua ingombrante presenza e ci fa capire che ciò che è stato fatto non è ancora abbastanza.
Resta da capire se le aziende hanno intenzione di adeguare la retribuzione oraria dei loro dipendenti ai cambiamenti dell’economia e del mercato, consentendo così una crescita che permetterà maggior potere d’acquisto.